Pronuncia | n. 27/2016 del 24/5/2016 |
Parti | Comitato di Controllo nei confronti di MGDL S.r.l. |
Mezzi | TV |
Prodotto | Gioiello per intimo femminile “Tirabaci” |
Messaggio | “Magdalene il fascino della Stronzetta” |
Presidente | Iudica |
Relatore | Termine |
Dispositivo | «Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità contestata è in contrasto con l’art. 9 CA limitatamente all’uso del termine ‘stronzetta’ e ne ordina in tali limiti la cessazione.»
Art. 9 – Violenza, volgarità, indecenza
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Il Comitato di Controllo ha chiesto l’intervento del Giurì nei confronti di MGDL S.r.l. (di seguito: MGDL) in relazione al telecomunicato “Magdalene il fascino della Stronzetta” diffuso sulle reti Mediaset nel mese di marzo 2016, ritenendolo in contrasto con gli artt. 9 e 10 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
Per il Comitato, nel messaggio, articolato attraverso la presentazione di un “gioiello per intimo” denominato “Tirabaci” da parte di una giovane donna, l’enfasi di cui viene investito il termine “stronzetta”, con l’espediente del beep che lo nasconde e della scritta che lo svela, rafforzerebbe di fatto la sua connotazione negativa. Con l’aggravante che tale meccanismo avrebbe come suo oggetto il corpo femminile offerto al desiderio maschile secondo un modello che riconferma la stereotipizzazione dei ruoli.
MGDL ha eccepito che l’espressione “stronzetta” è assunta in senso figurato, per cui perderebbe la sua carica aggressiva, aggiungendo che la parola è stata “beeppata” sulla voce, e mantenuta nella scritta, in difesa dei minori che ancora non sanno leggere; si fa inoltre notare come il vocabolario registri la voce come “vezzeggiativo femminile” e che l’espressione “stronzetta” sia ripresa dal romanzo di Sherry Argov, Falli soffrire 2.0. Gli uomini preferiscono le stronze, a cui si rimanda attraverso l’indicazione del sito aziendale presente per tutta la durata dello spot.
MGDL contesta anche l’interpretazione del Comitato secondo cui la donna sarebbe rappresentata come oggetto che si offre al desiderio maschile in quanto, nello spot, la presenza femminile e la voce maschile si disporrebbero entrambe su un piano di equilibrio e di uguaglianza dei reciproci ruoli.
Il Giurì non ravvisa nel messaggio violazione dell’art. 10 del Codice dato che la donna non produce la sua performance in solitudine, bensì dinanzi a un uomo che non si vede ma di cui si ode la voce: una relazione che si svolge in un gioco di seduzione. Tale condizione istituisce, pur nella diversità dei ruoli, una normale dialettica tra i generi.
Tuttavia, per il Giurì, nel finale dello spot, l’uomo, forse perché sorpreso nella propria “debolezza”, si rivolge alla donna con un epiteto che magari vorrebbe avere valenza vezzeggiativa, ma riesce invece a esprimere solo una volgare carica aggressiva che il contesto mal sopporta: “stronzetta”. Parola che un beep copre mentre l’uomo la pronuncia e che la scritta in sovrimpressione enuncia, che si trova perciò ad essere enfatizzata proprio attraverso la sua cancellazione. Parola che, nel suo presentarsi come tabù, cancella il senso figurato che le si voleva attribuire, fa emergere quanto il vezzeggiativo voleva coprire se non negare e che la forma scritta finisce con il rendere evidente.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità contestata è in contrasto con l’Art. 9 C.A. limitatamente all’uso del termine “stronzetta” e ne ordina, in tali limiti, la cessazione.