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Pronuncia n. 84/2018 del 4/12/2018
Parti Comitato di Controllo c. Pro Vita Onlus; Generazione Famiglia La manif pour tous Italia
Mezzi Affissione
Prodotto Campagna di informazione
Messaggio Due uomini non fanno una madre. #stoputeroinaffitto” – “Due donne non fanno un padre
Presidente Gambaro
Relatore Finocchiaro
Dispositivo «Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che le comunicazioni esaminate pur essendo caratterizzate da elementi problematici non sono in contrasto con il Codice di Autodisciplina.»

Il Comitato di Controllo ha chiesto l’intervento del Giurì nei confronti di Pro Vita Onlus, Generazione Famiglia – La Manif Pour Tous Italia, in relazione ai messaggi pubblicitari “Due uomini non fanno una madre. #stoputeroinaffitto” – “Due madri non fanno un padre”, diffusi su affissioni nelle città di Milano, Roma e Torino, ritenendoli in contrasto con gli artt. 10, 11 e 46 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

I messaggi mostrano due uomini (o due donne), identificati come “genitore 1” e “genitore 2”, nell’atto di spingere un carrello della spesa al cui interno è posto un bambino seminudo, marchiato sul petto con un codice a barre, con il viso straziato da un pianto disperato.

Ad avviso del Comitato, la rappresentazione del bambino, trascendendo dalla necessaria esigenza di informazione, si tradurrebbe in un’offesa alla dignità del minore ai sensi dell’art. 10 del Codice. La figura del bambino verrebbe utilizzata come mero strumento di richiamo dell’attenzione del pubblico. La scelta di manifesti accessibili a tutti amplificherebbe la violazione, non rispettando la cura nella predisposizione di messaggi che possono essere raggiunti anche da un pubblico di minori, richiesta dall’art. 11 del Codice. Inoltre ad avviso del Comitato il messaggio violerebbe anche l’art. 46 per la presenza di un’immagine idonea a ingenerare allarmismi o sentimenti di grave turbamento, non giustificati da finalità sociali.

Le resistenti hanno eccepito che oggetto della campagna sarebbe unicamente la critica alla pratica dell’“utero in affitto”. La rappresentazione del bambino non risulterebbe svilente, essendo espressione di un tipico comportamento dell’infanzia. La rappresentazione nel complesso sarebbe volta a sensibilizzare il pubblico sul carattere commerciale della pratica e sulla violazione della relazione umana tra l’infante e la madre naturale. Escluso il carattere violento della rappresentazione, la scelta del mezzo e delle città sarebbe consapevole, perché volta proprio a contrastare le decisioni delle amministrazioni di Roma, Milano e Torino di trascrivere nei registri anagrafici gli atti di nascita di bambini nati all’estero da madre surrogata. La contestazione dell’art. 46 non sarebbe adeguatamente motivata, essendo la pratica dell’utero in affitto “scioccante”, oltre che penalmente sanzionata dall’ordinamento italiano.

Il Giurì ha ritenuto di poter valutare i messaggi unicamente in merito alle modalità di rappresentazione degli stessi, restando preclusa ogni valutazione concernente il dibattito sul tema in questione e di poterlo fare alla luce delle previsioni dell’art. 46 del Codice. Se l’immagine del bambino nudo, in lacrime in un carrello della spesa e marchiato da un codice a barre fosse utilizzata nel contesto di una comunicazione commerciale, ad avviso del Giurì, rientrerebbe certamente nella categoria dello “shocking advertising” e sarebbe vietata. Diverso è l’uso della medesima immagine nell’ambito di una comunicazione sociale, come nel caso di specie. Ad avviso del Giurì, il bambino non è mero strumento di richiamo dell’attenzione del pubblico, ma è il focus della campagna, volto a indirizzare l’interesse del pubblico sulla condizione del minore medesimo. Pur considerando l’immagine estremamente problematica, il Giurì ha ritenuto che la stessa abbia raggiunto i limiti posti a tutela della liceità della comunicazione sociale, ma non li abbia travalicati.

 

Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che le comunicazioni esaminate, pur essendo caratterizzate da elementi problematici, non sono in contrasto con il Codice di Autodisciplina.

IAP è membro di EASA - European Advertising Standards Alliance e di ICAS - International Council on Ad Self-Regulation EASA_50